E poi che si sottomise al giogo della necessità
spirando nell’animo un mutamento
empio, impuro, sacrilego,
da allora cambiò la sua mente
e fu pronto a tutto:
(…)
Ebbene, tollerò di farsi sacrificatore
della figlia.
(Eschilo, Orestea, Agamennone, vv. 218-225)
Martedì a Pisa si è tenuto un incontro dal titolo “Uguaglianza dei meritevoli” presso la Scuola Superiore S.Anna, con relatori ufficiali il ministro Profumo e il presidente Amato. Ad accoglierli, un presidio di studenti e precari che chiedevano di essere ammessi per far sentire il proprio dissenso verso le politiche sempre più escludenti tramite le quali i governi degli ultimi 20 anni si sono resi responsabili della progressiva dismissione dell’Università italiana. Ultimo atto, solo per ordine temporale, il decreto Profumo.
Abbiamo vissuto questa esclusione ancora una volta, quando alle nostre istanze si è risposto con cancelli chiusi, dispiegamento di forze di polizia e manganelli. Infatti “l’attenzione” riservataci dai relatori è culminata con il ferimento di uno studente, finito in ospedale per una manganellata sul volto scoperto.
I cancelli sbarrati e le porte barricate proteggevano un’università che non parla delle condizioni reali di chi la vive e che esclude, trincerandosi dietro una falsa retorica meritocratica, il suo corpo vivo.
Una sorda chiusura, questa che ha tradotto nella nostra città l’immagine dell’aula di Montecitorio barricata e plaudente, mentre per le strade di Roma e di tutta Italia si esprimeva il totale dissenso alla rielezione di Giorgio Napolitano: il culmine dell’escalation di autoreferenzialità tecnocratica di cui la politica istituzionale si è resa protagonista negli ultimi mesi.
Il discorso di insediamento di Napolitano si è configurato come una dichiarazione di guerra che abbiamo visto immediatamente applicata sulla nostra pelle. La “contrapposizione tra piazza e Parlamento”, definita “avventurosa e deviante” dal nuovo e vecchio presidente della Repubblica, si traduce nelle nostre città in un tentativo di delegittimazione di quello spazio di dissenso, che si è dimostrato l’unico luogo di reale dibattito e produzione politica nel nostro paese da diversi anni a questa parte. Qualunque espressione di dissenso viene repressa dalle forze dell’ordine e stigmatizzata dai media, all’interno di quello che, ormai dall’inizio della crisi economica, viene raccontato come un continuo stato d’eccezione. All’interno di questa presunta “emergenza”, qualunque mezzo di controllo dall’alto degli spazi di democrazia diventa lecito, al fine di garantire la riproduzione di un sistema di uscita dalla crisi che impone l’austerity e garantisce le banche: come ha dichiarato il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, “L’Italia ha il pilota automatico”.
Se le dichiarazioni spudorate di Mario Draghi non avessero già abbastanza resa manifesta l’eclissi della democrazia che ha progressivamente oscurato il Paese dall’inizio della crisi, gli eventi di Montecitorio degli ultimi giorni e la mattinata di Martedì a Pisa ci rivelano che l’asticella si è alzata ancora: nel sistema istituzionale italiano, che a dispetto di qualsiasi tipo di elezione, vede ancora in carica Mario Monti e Giorgio Napolitano, è in gioco lo stesso assetto repubblicano.
Se fino all’investitura di Monti a capo del governo tecnico lo spauracchio dello spread creava uno stato d’eccezione, ancora dai confini temporali precisi, e del quale si poteva prevedere una fine, oggi l’eccezione si fa sistema. Si sono strappati gli ultimi veli di ipocrisia, è stata sacrificata sull’altare dei mercati la Repubblica nata dalla resistenza, e la “politica bambina”, tenuta per mano, plaude, chiusa nel Palazzo, all’incoronazione di re Giorgio.
Eppure, questa chiusura non coincide con una pacificazione: le confuse ore a ridosso della rielezione di Napolitano, i multiformi e controversi modi in cui, da tutta Italia, si è espressa l’indignazione per un sovvertimento così smaccato delle istanze di cambiamento, raccontano una storia ancora tutta da scrivere. È ancora viva e presente una parte di questo Paese che ha un altro progetto di uscita dalla crisi, che si riprende pezzi di welfare, spazi di autogestione e democrazia.
Per ogni palazzo che si chiude, individuiamo una nuova crepa, ritroviamo un nuovo spazio che si apre; per ogni violenza imposta sulle nostre vite, ritroviamo una piazza da attraversare insieme.