Noi sfigati dell’ex facoltà di lettere

Dipartimenti nati morti.
La ridipartimentazione post riforma Gelmini ha cambiato completamente la morfologia dell’Università di Pisa tutta, ma non tutti i suoi settori ne sono usciti stravolti allo stesso modo.
Ci limitiamo alla situazione della nostra ex facoltà, che di certo è una di quelle che ha risentito maggiormente degli effetti della riforma.
Per essere onesti, diciamoci pure che la facoltà di Lettere non se la passava troppo bene nemmeno prima, e che nessuno di noi sente particolare nostalgia per la vecchia facoltà in se stessa. Non possiamo però fare a meno di notare che a una struttura in forte crisi ne sono state sostituite altre nate già morte. Frequentiamo le aule dei neonati dipartimenti con la netta sensazione che questi ultimi non abbiano mai visto la luce: per la quantità infima di finanziamenti che ricevono e per la dequalificazione radicale dei corsi di laurea che ad essi afferiscono, sembrano solamente tentare di sopravvivere a se stessi… “fino a esaurimento scorte”, ovvero fino a quando ci sarà ancora qualche povero disgraziato che troverà un senso possibile nell’iscriversi a Storia, a Filosofia, ad Antichistica (ANTICHISTICA!).
Non esiste più una programmazione didattica sensata, buona parte dei corsi un tempo attivi sono caduti nel dimenticatoio (non c’è nessun docente che possa tenerli, tanto meno il dipartimento può assumerne di nuovi), la possibilità reale di contatti fruttuosi tra quelle che un tempo erano facoltà separate – lingue e lettere – non viene sfruttata, ma ignorata con cura. Resistono, eroicamente e stoicamente, gli stessi vecchi corsi di sempre, tenuti dagli stessi vecchi docenti di sempre – magari già in pensione, ma sempre generosi nell’offrire docenza gratuita per mantenere alta la già malmessa fama dei propri dipartimenti.
Quindi: ridotta drasticamente la qualità della didattica, sempre meno e sempre troppo pochi gli spazi per svolgerla. Così si fa lezione seduti a terra in 40 in un’aula per 20 persone e si rincorrono i corsi sovrapposti uno all’altro. Tanto alla fine hai scelto di studiare una cosa inutile, se non ti è permesso di seguire tutti e tre i corsi che devi seguire questo semestre va bene lo stesso (tanto lo sapevi già che non sarebbe servito a niente).
Il caso dell’appello di dicembre
Negli ultimi mesi dello scorso anno accademico entrambi i dipartimenti dell’ex facoltà di Lettere hanno deciso di eliminare l’appello di dicembre. Perché? OMISSIS. Mentre nel dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica non si è potuto che prendere atto del fatto che avremo un appello in meno (con tutti i problemi che questo comporta), nel dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere la soppressione dell’appello è stata aspramente combattuta con una mobilitazione a luglio inoltrato che tuttavia non ha ottenuto i risultati sperati. Per essere più chiari: esplode il caso “appello di dicembre”, gli studenti si mobilitano e decidono di entrare nell’aula in cui si svolge la seduta del consiglio di dipartimento che stava discutendo la questione; il direttore del dipartimento Polsi, evidentemente molto poco avvezzo a simili situazioni, perde le staffe e scioglie il consiglio inveendo contro gli studenti e minacciando di approvare la delibera con provvedimento d’urgenza, ovvero senza passare dall’organo preposto alla discussione e decisione in merito. Alcuni vecchi baroni, quelli che un tempo governavano la facoltà di Lettere, si mostrano increduli e molto arrabbiati per il comportamento tenuto dal direttore “Noi, nella nostra vecchia facoltà, non l’avremmo mai fatto. Gli studenti vengono prima di tutto!”. Sembra una bella storia invece finisce male. Viene riconvocato un Consiglio di dipartimento soltanto dopo che si è riunito un altro organo, la Giunta di dipartimento, composto da un numero molto ristretto di persone (mentre il Consiglio di Civiltà e Forme del Sapere è tra i più numerosi dell’ateneo, con più di cento membri). In Giunta, miracolosamente, si raggiunge un accordo tra tutti i docenti e al successivo Consiglio di dipartimento la soppressione dell’appello di dicembre viene approvata grazie al voto compatto di tutti i docenti, nonostante il voto compattamente contrario di tutti gli studenti (in minoranza, ovvio).
Come mai tutto ciò? Perché la ridipartimentazione ha significato anche una totale chiusura degli spazi di agibilità politica che in qualche misura ancora resistevano e che anni e anni di mobilitazioni avevano costruito dentro l’Università. Il Consiglio di dipartimento, corrispondente all’ex Consiglio di facoltà, è stato completamente esautorato da ogni funzione politica e non è più in alcun modo un luogo decisionale. Nei casi in cui le decisioni sono realmente importanti, si decide fuori, magari in giunta o magari al bar, tanto poi il dipartimento ratifica.
Il nuovo direttore è un megalomane? Forse. Di fatto, però, gli effetti della ridipartimentazione gli garantiscono degli spazi di “autonomia” e di decisione del tutto arbitraria piuttosto ampi.
Ci riprendiamo tutto: spazi autogestiti e autoformazione
Ci siamo iscritti a corsi di laurea che erano un po’ una condanna a morte (non fosse che per noia, vista l’originalità e l’ampiezza della proposta didattica), abbiamo scelto di rischiare parecchio e non vediamo un futuro radioso di fronte a noi. Va bene, avete ragione. Ma ora che siamo in ballo, balliamo.
Spazi
La ristrutturazione dell’Università è passata anche per la chiusura di molti spazi e la dislocazione dei poli universitari fuori dal centro storico (un esempio per tutti: il Polo Piagge). L’ex Facoltà di Lettere non si è fatta mancare neppure questo. Palazzo Ricci, un tempo storica sede dell’area umanistica, luogo di incontro e di aggregazione, è diventato un polo didattico nel suo significato più grigio: labirinto fatiscente di aule sparpagliate in cui nessuno ormai si ferma più nemmeno un minuto in più dopo la lezione. Tanto che ci stai a fare? In compenso è stato finalmente ristrutturato Palazzo Matteucci, in piazza Torricelli. Un palazzo tutto nuovo, con una bellissima biblioteca chiusa alle 18 e un portiere che se entri un minuto prima della chiusura ti sbatte fuori senza sentire ragioni. E la storica piazza Dante? Anche lì non si vede più anima viva: Scienze Politiche è stata interamente trasferita alle Piagge e La Sapienza chiusa per ragioni tecniche ancora non chiarite da alcuna perizia. Potersi incontrare è diventato difficile, quasi impossibile, vista la frammentazione pulviscolare dell’ Università e la totale assenza, all’interno di quel che ne rimane, di spazi comuni.
Eppure c’è  molto di sottutilizzato o del tutto inutilizzato attorno a Piazza Dante, luoghi che aspettano soltanto che qualcuno li renda nuovamente vivi, aperti, attraversati. Riprendersi gli spazi ed autogestirli significa avere l’ambizione di trasformare un pezzo di città, un pezzo di Università, rifunzionalizzandolo in modo diverso a partire dalle esigenze e dai desideri di chi vive davvero lUniversità e la città. La zona dell’area umanistica dell’Università sta già vivendo la riapertura e la resurrezione di uno spazio: il Teatro Rossi Aperto – aperto proprio di fronte all’ingresso di Palazzo Ricci – ci racconta ormai da più di un anno una storia diversa. Prendiamo appunti su questo virus, perché il contagio potrebbe iniziare da un momento all’altro.
Autoformazione
Vi sarà capitato di dare un’occhiata all’offerta didattica del vostro corso di laurea e scoprire che molto spesso è vecchia di sessant’anni e che “quest’anno fa lo stesso corso dell’anno scorso che comunque è anche quello di due anni fa”.
L’autoformazione è uno strumento con cui negli ultimi anni gli studenti hanno sperimentato una forma nuova e diversa di studiare e di produrre sapere dentro l’Università, in maniera autogestita ed intelligente. I laboratori di autoformazione sono nati dal desiderio di molti studenti di provare a condividere le proprie conoscenze per dare vita a percorsi seminariali di studio collettivo, aiutati da ricercatori, docenti, studiosi, che sapessero rispondere ai loro interessi e che fossero all’altezza delle loro ambizioni.
Percorsi che hanno uno sguardo immediatamente rivolto all’attualità e ai fenomeni che ci circondano, ai processi politici, sociali ed economici con cui ci confrontiamo quotidianamente.
Caratteristica fondamentale di questi percorsi è che essi sono autonomi, nel senso che dal confronto e dalla condivisione nasce la scelta del tema del corso, delle modalità del suo svolgimento, dei contatti cui fare riferimento. Dalla lettura collettiva dei testi nasce la scelta dei materiali da mettere in programma. Inoltre questi percorsi. per la grande risonanza che hanno avuto e per la larga partecipazione che hanno riscosso, sono riusciti a strappare un pezzetto di indipendenza conquistandosi anche il legittimo e meritato “guadagno di cfu”. Quest’ultimo passaggio rientra nelle finalità dei percorsi di autoformazione, nella misura in cui questi nascono da un ragionamento che punta a scardinare dall’interno la logica dei crediti universitari, richiedendo e ottenendo il riconoscimento del valore di percorsi che si strutturano con tempistiche autonome, non rispettando lo standard tot. ore per tot. cfu.
Non è il caso né di aver paura né di sperare, bisogna cercare nuove armi.
(G. Deleuze – La società del controllo)

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