Considerazioni sul 19 ottobre ed oltre…

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La giornata di mobilitazione del 19 Ottobre ha saputo esprimere radicalità, determinazione e partecipazione tali da imporsi come punto di partenza per una riflessione stringente e necessaria per tutti. I numeri straordinari dei presenti in piazza, già ampiamente e giustamente sottolineati fin dalle prime ore del corteo, erano imprevisti ed imprevedibili.

Le strade di roma sono tornate a riempirsi, finalmente, a due anni di distanza dall’ultima partecipata ma alquanto controversa manifestazione nazionale.
Chiusi i conti con questo passato ingombrante, circa 70 000 persone hanno attraversato le strade della capitale scandendo in coro: “Roma libera”.
In effetti, una grossa componente della piazza era proprio quella Roma che riapre spazi di libertà, che rivendica il diritto alla città ogni giorno. Parliamo, innanzi tutto, dei movimenti di lotta per l’abitare, con i migranti e i precari che animano le numerosissime occupazioni della capitale e resistono alla crisi mediante pratiche di riappropriazione.

É ragionevole ed entusiasmante pensare, a questo punto, che questo desiderio diffuso di riprendere parola non riguardasse la sola città di Roma, ma potesse essere moltiplicato. La partecipazione dal resto d’Italia, infatti, è stata relativamente esigua, rispetto alla potenza espressa dal corteo romano. Questo ha sicuramente a che fare con le difficoltà logistiche (il consueto rifiuto che Trenitalia oppone alla richiesta di treni a prezzi agevolati) e con la campagna di terrorismo mediatico che è stata deliberatamente messa in campo nelle settimane di avvicinamento per disincentivare la partecipazione.

Non nascondiamo le perplessità che abbiamo nutrito nelle settimane precedenti il 19 in merito alla costruzione della giornata. Provando ad andare oltre i limiti dei contenitori politici, crediamo che la buona riuscita della manifestazione evidenzi un desiderio di partecipazione forte e determinato. La costruzione di questa giornata ha, infatti, coinvolto un numero ampio e variegato di soggetti sociali e politici, che hanno scelto di investire energie e di essere presenti in piazza.

Noi abbiamo deciso di essere tra questi, di scendere in piazza, nonostante le contraddizioni, insieme a realtà le cui lotte sono, da sempre, anche le nostre: il diritto alla casa, la difesa dei territori, il rifiuto dell’austerity.

Sono queste le rivendicazioni forti e radicali che ci appartengono e che consideriamo priorità necessarie di qualunque agenda politica possano darsi i movimenti sociali nella crisi: è incolmabile, dobbiamo dirlo, la distanza che ci separa da posizioni politiche arretrate e difensive, come quelle che hanno dato vita alla giornata del 12 Ottobre.
Ci interessano poco e contrapposizioni sterili tra le date, e molto, invece, i contenuti e gli spunti d’analisi che vi rintracciamo.
La giornata del 12 Ottobre, contrariamente ai buoni auspici e al favore accordato da una considerevole parte dei media, è stata clamorosamente disertata, raggiungendo un numero di presenze sorprendentemente esiguo. Certo, è innanzi tutto evidente che, nell’Europa della crisi e dei diktat della Troika, difendere la Costituzione Italiana (che, tra l’altro, impone il pareggio di bilancio) appare quantomeno anacronistico. E che non possa incarnare una priorità per chi vive nelle lotte reali, come sono tutte quelle contro la crisi, non ci stupisce più di tanto.

Ma è necessario fare un passo in più: la piazza del 12 ottobre, soprattutto se vista accanto a quelle del 18 e 19, ci racconta anche il fallimento di una (ennesima) ipotesi di ri – assemblaggio, posticcio e fuori tempo massimo, di una certa sinistra politico/intellettuale – o quel che ne rimane.
La stessa sinistra che ha mostrato la sua totale incapacità di prendere parola sui temi messi sul piatto dalla manifestazione di sabato scorso, che segnano reali terreni di conflitto di molti e molte; schivata, grazie alla straordinaria lucidità della piazza, la sterile contrapposizione tra violenti e non violenti e l’angosciante carrozzone mediatico che agita lo spettro del nuovo terrorismo, nessuno, dal partito di Repubblica alla sinistra più o meno istituzionale, è stato in grado di esprimersi nel merito della giornata; tutti hanno dimostrato di essere completamente privi di strumenti di lettura per questa realtà vivace e multiforme, radicale e straordinariamente produttiva che è tornata a riprendersi le strade e continua resistere alla crisi, guardando all’Europa come orizzonte minimo delle proprie lotte.

Ed è verso l’Europa che vogliamo rilanciare, dalle piazze di Roma invase.

L’Europa delle banche, certo, quelle che ci impongono i diktat dell’austerity, tradotti, sulle nostre vite, in politiche scellerate dai Ministeri (Economia e Welfare) sotto i quali siamo arrivati in tanti, sabato scorso.

Un’Europa dai confini labili e complessi, che guarda al Mediterraneo e ai Sud, che viene attraversata da flussi continui di persone in movimento, che rivendicano diritti e si riprendono spazi di vita.

Un’Europa che ci suggerisce modalità politiche nuove, forme organizzative partecipate adatte a trasportare su un terreno transnazionale le lotte comuni contro l’austerity. Forme che dobbiamo iniziare ad immaginare e a sperimentare sui territori, se vogliamo superare la rigidità della competizione tra gruppi, che, nella costruzione del corteo del 19, si è rivelata tanto pericolosa ed insufficiente quanto immediatamente scavalcata da desideri e rivendicazioni estremamente più sprovincializzati.

Con questo sguardo e questa prospettiva parteciperemo al secondo Meeting euromediterraneo Agora99, che si terrà a Roma ai primi di Novembre.

Con l’interesse ad andare sempre oltre il singolo evento, ad incrociare realtà e conflitti che sanno radicarsi nei territori; sulla base del comune linguaggio di chi si oppone giorno per giorno alla crisi e reclama reddito, democrazia e diritti, nelle molteplici forme che caratterizzano metropoli, luoghi di formazione e di lavoro, periferie.

 

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