- di DinamoPress
La giornata del 19 ottobre, letta in combinazione con lo sciopero generale dei sindacati di base del 18, lascia un segno importante, da cui occorre partire per avanzare domande e proposte nuove nel e per il movimento.
Due giorni di mobilitazioni, imponenti nei numeri, significative nella radicalità. E tutto questo nonostante la fase, qualificata più che mai da un’offensiva padronale, quella propria della gestione neoliberale della crisi economica, tutt’altro che tenera, o in affanno.
Per chi, come noi, ha deciso di raccogliere produttivamente la sfida del 19, lanciata dalla rete Abitare nella crisi, e ha contribuito, anche nei giorni precedenti, alla sua riuscita, un dato più degli altri ha positivamente sorpreso: la robustezza della partecipazione. 70.000 persone hanno attraversato la città, fin sotto ai ministeri (Economia e Infrastrutture), responsabili di sottrarre risorse all’abitare e al welfare per dirottarli verso le banche, nonostante fosse diffusa la percezione, anche e soprattutto a causa dell’aggressione mediatica delle scorse settimane, che si sarebbe trattato di una manifestazione “complicata”. A indicare che, indipendentemente dai contenitori politici e dalle retoriche roboanti, c’è una domanda assai ampia di partecipazione radicale, un desiderio potente, fino in fondo esito della precarietà che marchia la pelle, di esprimere, anche praticamente, la propria indignazione. Doveva essere una sollevazione, nei fatti è stata una grande e importante manifestazione conflittuale. È stato anche conquistato un tavolo di trattativa sulle questioni abitative con il Ministro delle infrastrutture e con diversi sindaci. In questo senso la descrizione mainstream, delusa nel non trovare la tanto attesa “guerriglia”, sarebbe patetica, se non fosse pericolosamente liberticida e forcaiola.
Roma, poi, ha fatto la differenza; da fuori, infatti, visto il consueto blocco della mobilità di Trenitalia, la partecipazione è stata limitata in rapporto alle dimensioni della piazza. La nostra metropoli si dimostra un laboratorio politico effervescente, animato da decine di esperienze di occupazione e autogestione, abitative, sociali e culturali, ma anche da una consistente e radicata iniziativa, in qualche modo unitaria, del sindacalismo di base. Un’anomalia che, senza equivoci o incertezze, si conferma e si rinnova. Anche lo spezzone da noi promosso e organizzato insieme ad altri, e segnato dai vessilli dell’Europa pirata, si è distinto per la ricchezza, la qualità e la partecipazione di migliaia di studenti e precari.
Oltre i numeri, la composizione. Innanzitutto la prova di forza, straordinaria, del movimento di lotta per l’abitare: decine di migliaia di senza casa e occupanti, in prevalenza migranti, hanno aperto il corteo e definito il tratto più qualificante della giornata. I soggetti più colpiti dalla crisi e dalla sua gestione hanno sfilato con la determinazione di chi non si arrende all’ineluttabile, ma qui e ora, attraverso la riappropriazione, impone nuovo welfare, esercitando il proprio diritto alla città. Da anni, decenni, Roma è la metropoli in cui più estesa è la lotta per la casa, mai come questa volta, però, i numeri della piazza sono stati così significativi.
Assieme ai movimenti per il diritto all’abitare, una variegata, e anche in questo caso mai tanto robusta, presenza di gruppi politici e reti sociali metropolitane, dai centri sociali agli studenti. La scena generazionale, precaria e senza futuro, che pur avendo negli ultimi anni (dall’Onda in poi, per intenderci) segnato l’intensità dei movimenti, fatica a tradurre la potenza evidente nelle piazze, anche e soprattutto in quella del 19, in radicato contro-potere nei luoghi di lavoro. I numeri di sabato scorso, e la massiccia partecipazione di precari dei servizi e del commercio alla manifestazione sindacale del 18 ottobre, fanno davvero ben sperare.
Doverosa, procedendo con l’analisi, la comparazione tra la piazza del 19 e quella del 12, alla quale, come chiarito con il nostro ultimo editoriale, avevamo deciso di non aderire. Una manifestazione enorme e radicale, quella di sabato scorso, nonostante gli allarmi e il maltrattamento mediatico. Una manifestazione arretrata nei contenuti, in alcuni casi ostile ai movimenti (pensiamo alla presenza di Travaglio che, in consonanza con Grillo e i cinque stelle, si batte contro l’amnistia… vergogna, occorre gridare!), e poco partecipata, quella del 12, nonostante il sostegno di buona parte della stampa, oltre che di ciò che resta della sinistra politica. La comparazione è utile, non tanto a consolidare rancori, anzi, quanto a promuovere con forza la riflessione sulla fase in cui siamo immersi: è possibile una posizione politica “debole” (cosa vuol dire difendere la Costituzione che impone il pareggio di bilancio? Come si può chiedere l’applicazione della Costituzione agli stessi partiti che la distruggono?) nel momento in cui, senza l’eccessiva mediazione dei tecnici, PD e CGIL gestiscono la crisi per conto della Troika?
Nel bilancio positivo della giornata, meglio, della settimana di mobilitazione, segnaliamo due domande, questioni che poniamo a noi stessi e al movimento tutto. In primo luogo l’Europa. Ci sembra necessario, e su questo insistiamo da tempo (soprattutto praticamente), trascinare oltre i confini nazionali il conflitto anti-austerity. Assumere fino in fondo questa necessità, significa costruire uno spazio comune di movimento e reti sociali di scopo, per un verso da subito transnazionali nell’estensione, per l’altro capaci di adottare nuove grammatiche della partecipazione e della decisione politica, distanti anni luce dalla competizione tra gruppi che spesso va per la maggiore in Italia. Il secondo meeting euromediterraneo Agorà99, che quest’anno si svolgerà a Roma, può essere un’occasione importante per andare in questa direzione. In secondo luogo il radicamento e la continuità. In un autunno fin ora tutt’altro che bollente, il 18 e 19 aprono strade interessanti, da percorrere con passione. Non rinviabile, in questo senso, il consolidamento di esperienze pratiche che sappiano dislocare nei luoghi di lavoro e della formazione, nelle metropoli, il conflitto che nei grandi eventi di piazza sa fare la sua comparsa. La riappropriazione sul terreno abitativo è un pezzo, l’offensiva nella scena del lavoro precario e attorno alla questione del reddito di base è il nodo da affrontare. Così la sollevazione generale può dismettere i panni dell’evocazione e divenire processo sociale.
Con attenzione a queste domande, consegniamo al dibattito pubblico il nostro bilancio del 19 ottobre, le ipotesi di ricerca politica da fare nei mesi a venire.
In conclusione, come purtroppo ci troviamo a fare sempre più spesso al termine dei cortei, chiediamo con determinazione l’immediata liberazione di tutte le compagne e i compagni fermati durante la manifestazione e per cui nei prossimi giorni invitiamo a mobilitarsi in occasione dell’udienza di convalida dell’arresto.